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Parlano di noi e di Azionariato Popolare su Gazzetta dello Sport
21/09/2011

Gazzetta dello Sport         giovedì 21 settembre 2011

 

L’azionariato popolare si fa avanti per un calcio più legato al territorio

 

Non solo Barcellona. Anche in Italia i tifosi vogliono contare di più

 

A Modena una cooperativa ha l’1% delle azioni del club di B. L’Ancona risorge con due delegati del tifo nel cda. L’Uefa applaude.

 

 

MARCO IARIA

In Europa League gioca una squadra, l’irlandese Shamrock Rovers, che appartiene interamente ai tifosi. In Inghilterra è tornato tra i professionisti il miticoWimbledon, resuscitato dalla gente, e si è affacciato per la prima volta in Premier League lo Swansea, l’unico a promuovere dirigente un rappresentante del tifo. In Israele l’Hapoel Gerusalemme ha favorito la convivenza tra ebrei e musulmani e aumentato la scolarità nei quartieri difficili della capitale. Tutto questo sarà possibile in Italia? Anche da noi itifosi avranno l’opportunità di contare qualcosa nella gestione dei club di calcio? Qualche anno fa si sarebbe parlato di pura utopia, ma adesso sta maturando una coscienza collettiva che lascia intravedere una svolta nella governance delle nostre squadre. Si parla di azionariato popolare e subito vengono in mente Barcellona e Bayern Monaco. Ma le rivoluzioni non si fanno in un giorno. E non è un caso che le prime esperienze italiane siano nate nelle categorie inferiori, magari in piazze storiche spazzate via dalla geografia del pallone.

Apripista

L’esempio è quello dei supporters trust inglesi, visti dal Parlamento europeo e dall’Uefa come antidoto ai mali del nuovo calcio, fatto di spese folli, scarsa trasparenza, noncuranza delle esigenze dei tifosi. È nata così la rete Supporters Direct, cui hanno aderito dall’ItaliaMyRoma, Modena Sport Club,Venezia United, Sosteniamo l'Ancona e Sogno Cavese. Il Modena è la prima società di Serie B ad avere i tifosi come azionisti. La cooperativa, formata da 250 soci tra cui l’ex bomber Cristian Bucchi, ha acquistato l’1% delle azioni. Nelle Marche si è appena celebrato un evento storico: l’ingresso nel cda dell’Ancona, promossa in Serie D ed erede del club fallito in B, di due rappresentanti del trust di tifosi, che avranno diritto di veto su decisioni relative al trasferimento della sede, ai colori sociali e al marchio. Il segreto sta proprio qui: più delle azioni possedute (il 2% nel caso dell’Ancona) contano i diritti che si possono esercitare.

Difficoltà

A Venezia i nuovi proprietari russi non si fanno sentire, nel frattempo l’associazione dei supporter promuove iniziative autonome per tenere vivo l’entusiasmo attorno a un’altra nobile decaduta del calcio italiano. Non c’è più nemmeno la Cavese, esclusa dalla Lega Pro in estate perché ha fatto crac: i tifosi non si sono persi d’animo e hanno costituito una nuova squadra che ricomincerà dalla Terza categoria. Partire dal basso, farsi sentire con iniziative legate alla comunità. È il tentativo che sta portando avanti MyRoma, titolare di una piccolissima quota del club giallorosso presente in Borsa e tuttavia protagonista dibattaglie a tutela dei tifosi ed iiniziative di sensibilizzazione. C’è poi il caso del Mantova United, che ha il 10% del capitale del club militante in Seconda divisione e collabora al marketing biancorosso.

Equivoco

«Non è corretto parlare di azionariato popolare — spiega l’avvocato Diego Riva, consulente di Supporters Direct Europe — perché si rischia di cadere nell’equivoco che un Moratti debba essere sostituito da un milione di tifosi azionisti. In realtà, se guardiamo agli esempi europei, i supporter contribuiscono per il 10-20% al budget di una squadra. Nel Barcellona ancora di meno (20 milioni di sottoscrizioni su un fatturato di 400 milioni, ndr). Più che i soldi, contano la passione e l’entusiasmo che questi gruppi possono trasmettere al management». In Germania, per esempio, vige la regola del 50% + 1: le società di calcio sono in mano alle associazioni sportive di tifosi, che detengono la maggioranza dei diritti di voto e quindi esercitano un controllo sul club, senza che ciò si traduca in un equivalente impegno economico. Stadi pieni, sponsor a go go, giovani talenti, bilanci sani: è l’immagine del movimento tedesco. Ci sarà pure lo zampino dei tifosi, o no? «Il calcio è business — aggiunge Riva — ma c’è un senso di appartenenza che prescinde dalla ricchezza e dai trofei. Dar voce ai tifosi porterebbe un valore indotto al prodotto calcio». Mica male in tempi di crisi.

 

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